L’Albergo dei Poveri sorse, a Genova, come un grande esperimento. Dietro la sua fondazione, avvenuta nel 1656, ci sono almeno tre fattori: lo scoppio della pestilenza a Genova, la religiosità e la sensibilità di Emanuele Brignole, suo fondatore, la sensibilità barocca, con tutto ciò che di contraddittorio essa contiene.
Se ne parlerà con Paolo Tachella, autore de L’Albergo dei Poveri di Genova. Vita quotidiana, continuità e cambiamento di un'”azienda benefica” tra Sette e Novecento, presso la Fiondazione Elisabeth de Rothschild, per il secondo incontro del ciclo “Libri da incontrare”, sabato 8 giugno, alle ore 17. Interverranno: Yehoshua Levy de Rothschild, Ruth Cerruto e Stefano Termanini. Verrà esposta l’opera «Maternità» (2019) di Caterina Cataldi, con il commento di Gabriella Oliva.
Genova era stata risparmiata dalla terribile pestilenza che aveva colpito, invece – come sappiamo dalle pagine dei Promessi Sposi – il Milanese. Ma una coda di quell’epidemia, probabilmente, la prese qualche decennio più tardi, quando ai suoi cittadini pareva ormai di essere in salvo. La popolazione fu ridotta a un terzo. I poveri, che, in tempi ordinari erano ricoverati nell’inutile Lazzaretto, dovettero essere sloggiati per far posto agli appestati. Fu così che Emanuele Brignole, ricchissimo membro di una delle famiglie più importanti della città, appartenente alla cerchia dell’aristocrazia cittadina, nipote di un doge, proprietario di un’inestimabile fortuna e dotato di un non comune talento per gli affari, ma anche uomo pio, ebbe dalla Repubblica l’incarico di occuparsi del problema dei poveri. Fu sua l’“invenzione” – in gran parte sostenuta anche con propri denari – di un palazzo capace di contenere i cittadini poveri, di ospitarli, di dar loro vitto e alloggio, di sottrarli all’ozio, di indurli ai buoni costumi per salvar loro l’anima.
Visto da lontano, visto da chi arrivava in città per via di mare, l’“Albergo dei Poveri” pareva una reggia. Era il più grande palazzo della città (60mila metri quadrati). Chi arrivava, si stupiva: davvero i Genovesi avevano costruito una reggia per i poveri?
Ai nostri occhi, le regole dell’Albergo erano fortemente restrittive. I poveri erano “sequestrati” nell’Albergo. Non ne uscivano più. Lavoravano e pregavano. Emanuele Brignole aveva pensato a salvarli dall’ozio, che era pur sempre “padre dei vizi”, così come altri uomini di governo suoi contemporanei avevano pensato al decoro della città, per la quale progettavano un futuro tra le grandi capitali europee. Non era di quel tempo, non apparteneva a quella sensibilità, occuparsi anche di promozione sociale del povero.
L’esempio genovese, studiato da Paolo Tachella in ogni dettaglio nel libro L’Albergo dei Poveri di Genova. Vita quotidiana, continuità e cambiamento di un’“azienda benefica” tra Sette e Novecento, libro che segue, nella collana, al volume di Annamaria de Marini su Emanuele Brignole, ci permette inoltre di tracciare un più ampio discorso sulla storia della povertà in Europa tra Era Moderna ed Età Contemporanea.
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