«E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia…» eccetera eccetera. La prima poesia. Nel 1960, in un singolare “autocommento”, scritto per la pubblicazione di un’antologia di sue poesie, tradotte in lingua svedese, Eugenio Montale riprendeva quella «strofa» che diceva fra le sue prime e quel suo stato d’animo di allora («avevo vent’anni»): «uno stato d’animo di estrema desolazione trasposto in un paesaggio che oggi si direbbe “esistenziale”, ma che era allora semplicemente il paesaggio naturale in cui vivevo».
Negli ultimi cent’anni, da allora a qui, si è fatto un gran parlare della Liguria e della sua essenza poetica; della sua capacità naturale di ispirare una certa poesia. Scriveva Montale: «La Liguria orientale – la terra in cui trascorsi parte della mia giovinezza – ha questa bellezza scarna, scabra, allucinante». Aveva provato un verso che vi aderisse, «ad ogni fibra».
Emilio Cecchi se ne accorse, disse che in «Ossi di seppia» «tutto si svolgeva sotto un velo di allucinazione». E Montale confermò: «Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale». Era come essere separati da una rivelazione, ma di poco, come per interposizione di «un velo sottile», che si sarebbe potuto infrangere, con «un’eplosione». Sarebbe stata «la fine dell’inganno del mondo come rappresentazione».
Credo che ci sia una lezione da cogliere, fra tutte: la poesia può essere una intuizione, un lampo, una gibigianna (a Montale piaceva questa parola), ma non può essere mai una scorciatoia. Ci si arriva al termine di uno scavo, una ricerca mai compiutamente soddisfatta, una strada in salita, uno studio lungo e faticoso. «Ho tradotto molto – diceva Montale di sé e del percorso che gli aveva fatto trovare le parole – cinque drammi di Shakespeare […]; il “Cid” di Corneille; il “Faust” di Marlowe; il “Billy Budd” di Melville, parecchi entremeses e racconti di Cervantes; un volume intero di liriche straniere ecc.». [stefano termanini]
Virginia Woolf diceva che, per diventare una scrittrice, una donna avrebbe dovuto avere una stanza tutta per sé. Emily Dickinson (1830-1886) questa stanza tutta per sé l’ebbe e vi si confinò, fin quasi a imprigionarvisi. Visse nella sua casa – la casa paterna – a Amherest, in Massachussetts (puoi visitarla, anche virtualmente: https://lnkd.in/d86GmJAq). Ne uscì di rado, una volta per andare a Washington, altre per trascorrere qualche giorno a Filadelfia o a Boston o a Cambridge.
I suoi studi erano stati irregolari. Aveva frequentato, prima, l’Accademia di Amherest, quindi il seminario femminile di Mount Holyoke. Uscita da questo, le sue amicizie finirono con il rarefarsi, ma con i suoi amici o “tutori” o “maestri”, come li chiamava, Emily Dickinson mantenne sempre una fitta corrispondenza. Le sue numerosissime lettere, talvolta epigrammatiche, tessute in forme mai scontate, che prendono a prestito dalla lettura della Bibbia, di Shakespeare, Keats, Browning, Emerson, Elizabeth Barret, Emily Brontë e che lasciano riaffiorare una intensa, ininterrotta meditazione interiore, sono l’elemento liquido in cui Emily si muove a proprio piacimento.
Emily Dickenson Homestead
Qualche volta, tra le pagine di una lettera, mette anche una poesia. Soltanto sette sue poesie furono pubblicate, mentre Emily era in vita. Tutte le altre le trovarono tra le sue cose, nella camera che Emily aveva abitato per tanti anni, sola, cucite in quaderni che lei stessa fabbricava: millesettecentoottantanove in tutto.
Le sue poesie coincidono spesso con rapidi pensieri – pensieri che denunciano uno scavo interiore, illuminazioni, piene di dubbio sempre. La natura è fonte di permanente osservazione. Vi sono, nella natura, piccoli e spontanei miracoli. Guardandola, Emily si interroga, si confronta. Scrive: «Gli incantevoli fiori mi imbarazzano, /Mi fanno rammaricare di non essere un’ape».
Alcune poesie hanno un sapore antico, da lirica greca; altre cominciano luminose, estatiche, e si chiudono intrise di amarezza. Emily Dickinson medita spesso sulla vita, non stacca il pensiero dalla morte, si chiede costantemente di Dio, annota ogni parte di se stessa, ogni fase del suo immobile tempo, del suo insaziato desiderio di fede e tutto l’ingombrante bagaglio delle sue incertezze: «Percorse nel sonno quell’indolente via /Verso la locanda del dubbio -/Per cominciare all’alba la sua corsa /O restare per sempre -».
Ma il suo tempo, solitario ed escluso, aspira a farsi il tempo degli altri, del destino terreno dell’umanità. Emily è sola, ma continua a pensare alla vita di tutti.
In fondo anche Leopardi aveva fatto così, immaginando l’infinito, stando celato e basso dietro la sua siepe [stefano termanini] — Leggi i nostri più recenti libri di poesie: – Rita Parodi Pizzorno, Le Antiche Mura ([open access] https://bit.ly/3F92TaB ) – Paolo Castagnola, Tra le parole e il sale (https://bit.ly/3yRb0b0) – Antonietta Bocciardo, Or si frange l’onda (https://lnkd.in/d76Tfw2t)
Venerdì 3 febbraio 2023, alle ore 17,30, a Trento, presso Palazzo Geremia, Sala Falconetto, si terrà la presentazione del libro di Pietro Pistolese, In volo su Versailles. La Conferenza di pace, un’eredità di conflitti, Stefano Termanini Editore, pp. 360, ISBN 978-88-95472-77-5, € 16,00.
L’incontro, cui è stato concesso il patrocinio del Comune di Trento, è coordinato dall’Associazione Nazionale Carabinieri Sezione di Trento «Gen. Michele de Finis».
Interverranno, dopo l’introduzione di Gianfranco Deflorian, Primo Capitano CC (ca), Associazione Nazionale Carabinieri Sezione di Trento «Gen. Michele de Finis», e il saluto istituzionale di Roberto Stanchina, Vicesindaco di Trento, Pietro Pistolese, Generale di Corpo d’Armata Carabinieri (ris.), saggista e autore del libro, Franca Amoretti e Stefano Termanini, editore.
Partendo dalle premesse della Conferenza di Versailles che nel 1919 le potenze vincitrici convocarono a conclusione del Primo conflitto mondiale, Pietro Pistolese ne ricostruisce lo svolgimento anche attraverso interessanti capitoli dedicati ai suoi interpreti maggiori e minori e si sofferma sui temi che, lasciati irrisolti, portarono al Secondo conflitto mondiale.
Dopo l’«inutile strage» che aveva insanguinato l’Europa, l’aspettativa generale era di annientare i venti bellicisti e dare ai Paesi europei un futuro di pace. Politici, diplomatici, intellettuali, cittadini avvertivano che la Conferenza di Versailles era forse l’occasione che si era troppo a lungo attesa: il punto di svolta, il luogo e il tempo in cui dare al mondo regole che avrebbero scongiurato future guerre fratricide. Quella che doveva introdurre un nuovo modo, negoziale, per sciogliere i nodi irrisolti della Grande Guerra e prevenire, con la diplomazia, nuovi conflitti fu, invece, un’occasione perduta. Molti, troppi interessi e temi precipitarono sui tavoli dei negoziatori: il principio della autodeterminazione dei popoli espresso da Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, le contraddizioni del Medio Oriente, tra Sionismo e volontà di indipendenza dei popoli arabi, l’aspirazione italiana a Fiume e Dalmazia, che avrebbe fatto gridare alla «vittoria mutilata» e avrebbe fornito lo spunto a Gabriele d’Annunzio e ai suoi miliziani per l’originale, progressista, variegato episodio della Reggenza del Carnaro.
A Versailles si incontrarono i vincitori della Prima guerra mondiale e i “grandi” del mondo – David Lloyd George, primo ministro inglese, Georges Clemenceau, presidente del Consiglio francese, Emanuele Orlando, presidente del Consiglio italiano, Thomas Woodrow Wilson, ventottesimo presidente degli Stati Uniti – ma, come scrisse il celebre economista John Maynard Keynes, che vi prese parte, il risultato della Conferenza fu «modesto, se non meschino». Inoltre, i colossali risarcimenti che le potenze vincitrici richiesero agli sconfitti apparvero come una inaccettabile umiliazione. Non più tardi di vent’anni dopo, l’Europa e il mondo si ritrovarono affogati in un’altra guerra mondiale, più della Prima sanguinosa ed estesa.
Con una attenta, dettagliata e scrupolosa ricostruzione, frutto di lungo studio e di ampie ricerche bibliografiche, l’autore, in 360 pagine che si leggono con la scorrevolezza di un’opera di narrativa, seguendo la traccia dell’eredità di Versailles, ne evidenzia l’ombra ancora presente nell’attuale complessa situazione internazionale: che cosa non funzionò a Versailles? Che cosa vi fu di sbagliato?
Pietro Pistolese, Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri (ris.). Nato a Parma, dopo l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Guerra ha conseguito la laurea ed un master in Scienze Strategiche presso l’università di Torino.
Ha retto incarichi di comando di vertice tra i quali, in Italia, Comando Interregionale «Pastrengo» (Lombardia, Piemonte, Liguria e Val D’Aosta); fondatore e Direttore del COESPU, «Center of Excellence for Stability Police Units», per la formazione delle Unità Internazionali di Polizia da impiegare nelle aree di crisi; Comando Legioni Regioni Carabinieri Marche e Liguria; Comando Carabinieri Paracadutisti “TUSCANIA”.
All’estero, in Medio Oriente è stato due volte comandante del Contingente Carabinieri e vice-comandante della Missione internazionale di pace (TIPH), «Temporary International Presence in Hebron» (1994–1997); Consigliere per la sicurezza della Missione dell’U.E. per le elezioni del Presidente e del Consiglio dell’Autonomia Nazionale Palestinese nel 1996; Comandante della Missione di pace europea EUBAM a Gaza (2005-2008). In Europa, in Albania, è stato Comandante in capo della Missione Multinazionale Europea di Polizia in Albania; a Bruxelles, Presidente del Gruppo di Valutazione Collettiva presso l’Unione Europea con il compito di valutare i Paesi aspiranti ad entrare nella Unione sotto i profili della cooperazione giudiziaria, controllo delle frontiere, traffico della droga, asilo ed immigrazione (semestre di presidenza italiano 2003).
È stato insignito di varie onorificenze tra cui: Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia; Commendatore della Repubblica Italiana; Medaglia mauriziana e Medaglia al merito della Croce Rossa Italiana. È membro dell’Istituto di Diritto Internazionale Umanitario di Sanremo e della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche di Genova.
Tra le sue pubblicazioni: Il Forte di S. Giuliano, ECIG, 1995; Afghanistan futuro cercasi, De Ferrari Editore, Genova 2012; La terra, il sangue e le parole, Stefano Termanini Editore, 2015 e numerosi articoli su riviste e su «Cahiers di Scienze Sociali» della Fondazione Università Popolare di Torino./