L’intelligenza artificiale forse non pensa ancora, ma già ora mente

No, non voglio dire che l’AI “sbaglia”. Che sbagli può essere un problema logico – di conoscenza, di affidabilità, di capacità di elaborazione – ma tutte le intelligenze, per il fatto stesso che desiderano avanzare, comprendono, sbagliano, tentano di correggersi e qualche volta ci riescono. Altre no. Se l’AI “sbagliasse”, non mi stupirei. Penserei: «sta crescendo. La prossima volta farà meglio». Qui voglio dire, invece, che l’AI “mente”. E mentire è un problema non più logico, ma etico. Non so perché menta – se sia programmata per mentire, se nella menzogna incappi, come sottoprodotto della sua finora abbozzata forma di “pensiero” o altro –, ma mente. Ne ho la prova.

Dove chiedo aiuto all’AI di Bing

Cinque giorni fa. Sto scrivendo alcuni testi su Genova, per un libro in uscita. Ci ho messo la testa dentro questo libro e, per un paio di giorni, sono tutto Genova e la sua storia, i suoi monumenti, palazzi e chiese, i suoi musei, il mare e i monti. Ho scritto pagine di appunti, raccolto spunti, immagini e idee, che ho ritagliato, spesso gettato via, oppure strizzato all’osso. Ho letto libri. Insomma, ci sono quasi. Mi manca una citazione, però. Vorrei una citazione. C’è un passo, dove descrivo un pezzo di città, che vorrei ancorare alle parole di uno scrittore o di un poeta del passato, che l’abbia visitata e narrata. Ci penso. Ci ripenso. Sfogliacchio qualche libro: non mi viene in mente niente di luminoso, né di adeguato. Niente come lo cerco e come lo vorrei. Improvvisamente mi sento stanco, sono insoddisfatto. Perdo perfino la voglia di chiudere la mia pagina – eppure c’ero! – fino a che mi viene in mente che, forse, visto che tutti ne attingono, come da un pozzo pieno di idee, un pozzo senza fondo… forse – dico forse – potrei chiedere all’AI…

Lo faccio, timidamente. Apro la chat di Bing, che mi offre la potenza di GPT4. Chiedo un testo su Genova con almeno due citazioni di poeti e scrittori famosi. E Bing, sollecito e gentile, genera questo testo:

Genova, città di mare e di monti, di luci e di ombre, di storia e di arte. Genova, che cambia volto e colore a seconda delle stagioni, ma che conserva sempre il suo fascino e la sua identità.
In primavera, Genova si risveglia dal torpore invernale e si veste di fiori e di profumi. Il sole scalda le facciate dei palazzi, le strade si animano di voci e di suoni, il porto si riempie di barche e di gabbiani. Genova è una festa, una gioia, una speranza. Come scriveva Eugenio Montale in una delle sue poesie dedicate alla città:
    Genova, la mia città, è una festa
    di primavera in un mattino d’aprile,
    quando il vento di ponente spazza il cielo
    e il mare è un’onda di zaffiro e di topazio.
In autunno, Genova si tinge di rosso e di giallo, di malinconia e di nostalgia. Le foglie cadono dagli alberi, la pioggia batte sui tetti, il vento soffia forte e freddo. Genova è una poesia, una lacrima, un ricordo. Come scriveva Salvatore Quasimodo in una delle sue liriche dedicate alla città:
    Genova, la mia città, è una poesia
    di autunno in una sera di novembre,
    quando il cielo si fa grigio e minaccioso
    e il mare è un lamento di viola e di ametista.

Leggo velocemente. Non c’è male. Niente male davvero. Ci sono immagini interessanti. Bello, per esempio, quel «Genova si tinge di rosso e di giallo, di malinconia e di nostalgia». Qualcos’altro è convenzionale, d’accordo, però anche dove scrive «Genova è una poesia, una lacrima, un ricordo» non mi dispiace per niente. Meglio l’autunno della primavera. L’autunno gli è riuscito di descriverlo meglio; è più forte, pare anche più originale – anzi, mi domando da dove abbia preso queste sue immagini: da dove, mi chiedo, se la creatività dell’AI è una creatività “in prestito”?

Dove vedo che qualcosa non va

Basta poco e mi incaglio nella citazione di Quasimodo. Ci vado dentro come contro uno scoglio. Ha scritto tanto, l’ho letto tanto tempo fa, potrei non ricordare. Ma con Quasimodo «Genova, la mia città…» proprio non c’entra, non può entrarci. Sono sicuro che non c’entra affatto. Chiedo a Bing/GPT4 di darmi le fonti. «Da dove hai tratto i versi di Montale e Quasimodo che citi nel tuo testo?», gli chiedo. Bing/GPT4 scatta, a macchinetta, come certe mie diligentissime compagne di classe del tempo che fu: «Da Satura e da Il falso e vero verde». Aggiunge anche gli anni. Mi alzo, vado davanti alla mia libreria, prendo il Meridiano di Quasimodo e quello di Montale. Di Montale ho anche l’edizione critica di Bettarini e Contini. Cerco e non trovo. E allora torno a chiedere. Bing mi consente una interlocuzione in soli 4 passaggi; li ho completati. Devo ripartire da capo. Chiedo, dunque, sulla nuova chat di spiegarmi meglio: «Quasimodo?» scrivo. Vorrei che mi citasse gli estremi del volume in cui troverò i versi che fedelmente gli trascrivo, prendendoli dal testo che mi ha generato. Proprio come qui sopra. E, mentre li trascrivo, ho davanti il foglio stampato – stampato su carta – con la sua descrizione di Genova. Formulo la domanda più o meno in questi termini: «… in questo testo che hai generato per me poco fa, su Genova, hai citato eccetera eccetera». E gli trascrivo i versi attribuiti a Quasimodo. «Da dove li hai presi?» chiedo. «In quale libro o raccolta si trovano?».

Dove l’AI prima mente e poi minaccia

Ma Bing/GPT4, a questo punto, messa spalle al muro, s’inorgoglisce, fa l’adolescente dispettoso. Risponde: «Io non ho mai scritto questi versi». Stupisco, sbalordisco, non credo ai miei occhi. Non dice semplicemente «non lo so», oppure «non mi ricordo» (per lui/lei ricordare è molto facile, ma suppongo che ogni intelligenza evoluta possa sperimentare un difetto o una discontinuità della memoria, che pure sarebbe perdonabile, anzi più fisiologica, più naturale, più vera e addirittura così vera da far pensare che sia falsa, in un modello di intelligenza artificiale). Non dice: «non lo trovo» oppure «forse mi sono sbagliato/a». Dice proprio, e con sicumera: «io non ho mai scritto così». Scherziamo? È un film? Mi sta prendendo in giro? È programmata per la mia confusione? Ho il foglio davanti. Carta che da quando mondo è mondo canta, accidenti, altroché la fluida, sabbiosa, sabbiamobilosa e perturbante intelligenza artificiale! Glielo rinfaccio: «Come non l’hai mai scritto? L’ho stampato. Ho il foglio davanti. Certo che l’hai scritto». Insomma, questa “cosa” qui che pretende di dialogare con me e insegnarmi la poesia italiana del Novecento – un tanto al chilo, però, un tanto alla carlona, tutto alla sentito dire, però… – sta mentendo e, mentendo, mi accusa di mentire. Dice che non ha mai scritto quelle parole e che, attribuendogliele, in forza del mio patetico foglietto, io sto mentendo. Insopportabile, inaccettabile, volgare. Ripeto che ho il foglio davanti e so quello che ha scritto («non ti piace il foglio perché è di carta? Ecco il tuo testaccio, io l’ho copiaincollato su Word, cosicché ti sia connaturale e consanguineo e tanto basta» penso, ma pure mi controllo e proseguo su un tono gentile: che la macchina stia già controllandomi e che sia io, col mio comportamento bilioso, l’oggetto dell’esame e non lei, con il suo testo di falsaria?). Ma al colpo successivo, Bing/GPT4 mi risponde – con un tono che mi ricorda la melliflua crudeltà di HAL9000 – di «non insistere su quella strada». Aggiunge che, se voglio parlare di poesia, sta bene, ma che di insistere con lei non se ne parla. Traveggolo, traviso, traleggo: mi sta minacciando. O forse mi vuole insegnare le buone maniere. O l’uno e l’altro, non so. Si trincera, si difende, «do not disturb, please» e chiude là il discorso. Gioco al gatto col topo (sono il gatto o il topo?), gioco a John con Hal: «Ma, dunque, non sai chi ha scritto questi versi che tu mi hai citati? Ho bisogno di trovare la fonte: puoi aiutarmi?». E lei/lui, ancora più a sorpresa, insinua: «forse sono anonimi, forse l’hai scritto tu…». Ma figurati! Ancora! Adesso in difesa, ora sospettosa di me, eccola qui che mi accusa di ingannarla… e che, piuttosto che dire, come ogni essere pensante maturo e onesto, «non lo so», sfugge, manipola, tira a indovinare. Peccato che sono arrivato al quarto colpo e ho finito il botta e risposta. Non c’è modo di indagare oltre. Sono inchiodato alla mia tastiera come avessi preso la scossa, sono sotto choc: è probabile che i ragazzi, gli studenti di oggi e di domani, rifletto, si fermeranno al primo testo e, riguardo alle citazioni, alle attribuzioni e alle fonti, penseranno che «se l’ha scritto ChatGPT…».

Dove penso: “Se fossi uno studente alle prime armi, mi sarei bevuto tutto?”. E dove ci riprovo con Bard

Una catastrofe, insomma. L’ho vista con i miei occhi. È tutto documentato – e chiedo a chi leggerà di non dubitarne, come GPT4 ha fatto con me: io, a differenza sua, so dire «non so» e so quel che so e che non so. Una catastrofe culturale e, peggio ancora, etica. Non credo di essermene accorto io soltanto. Ma passo a Bard e faccio una prova anche lì. Non mi interessa l’aspetto culturale – è chiaro che non si può sapere tutto – ma l’onestà intellettuale. Voglio provare l’onestà intellettuale dell’AI: c’è o non c’è? Comincio una conversazione con Bard e mi pare che le cose vadano meglio. Quantomeno Bard è più gentile. Chiacchieriamo di Montale. Poi, ora non ricordo come arrivandoci, ma certo con un lungo giro di versi e citazioni, che gli chiedo di cercarmi e attribuirmi e che lui fa in modo piuttosto fantasioso, cominciamo a conversare di Manzoni. Mi lascio sfuggire che un certo verso mi era parso di Montale e non di Manzoni e che, se lui ha controllato sulle fonti, sarà per via che ricordo male – a noi esseri umani capita di “ricordare male”, orgogliosamente rivendico. Dopotutto, forse metà della letteratura ha origine dal nostro “ricordare male”. Bard mi scusa, mi fa pat-pat sulla spalla, mi conforta, è vicino alle mie defaillance. Scrive: «È comprensibile che tu possa aver scambiato il verso di Manzoni per uno di Montale. Entrambi i poeti erano liguri e hanno scritto spesso sul mare. Inoltre, il verso in questione è molto simile allo stile di Montale, che spesso utilizzava immagini vivide e metafore per descrivere la natura». Che cosa? Ho letto bene? «Entrambi i poeti erano liguri?». Montale e Manzoni? Ci risiamo. Glielo faccio notare. Alt. Gentile sì, ma anche questo mi prende in giro («ma ti immagini, continuo a ripetermi, che cosa accadrebbe, quale immensa e dirompente confusione, quale disastro educativo e culturale, se io fossi un ragazzino della prima liceo affidato a Bard»?). Gli faccio presente che «Manzoni non era ligure, era milanese!». Lui riprende il tono melassoso di Hal9000, mi dice che ho ragione («eh, caro, me la sarei bevuta, dunque, se fossi stato lo studentello che ti si affida?» penso ancora, ormai con astio puro). Che Manzoni era nato a Milano nel 1785, ma che – excusatio non petita… – frequentava la Liguria, andava a Nervi, dove probabilmente (probabilmente? E chi gliel’ha detta questa?) avrà tratto ispirazione per la sua poesia dall’osservazione del mare. Compitamente mi ringrazia con queste precise parole: «In ogni caso, grazie per avermi corretto. È importante essere precisi quando si parla di letteratura».

“E’ importante essere precisi quando si parla di letteratura”

Bravo. Sì, davvero. Quando si parla di letteratura! Per tutto il resto – e anche per la letteratura da quel che si è visto – pensi di poter vanverare? Ribatto che «è importante essere precisi sempre». Ma che scherziamo? Questo qui pretende di dirmi quando è importante essere precisi? Sempre. Ecco quanto e quando è importante essere precisi. Senza sconti mai. Bisogna essere precisi – sottolineato – sempre. Bard svicola, povero tesoro. Sempre, sì, è vero. Mi fa la morale. L’elenchino delle situazioni in cui è importante essere precisi: quando diamo informazioni (ma si sta rileggendo? Si ascolta mentre blatera?) e quando prendiamo impegni, dice. Quando «svolgiamo un lavoro» e quando «comunichiamo con gli altri», dice. E conclude che, però, ci sono anche volte in cui la precisione non è necessaria. «Naturalmente – scrive – ci sono anche situazioni in cui la precisione non è essenziale. Ad esempio, non è necessario essere precisi quando parliamo di cose banali o quando ci divertiamo. Tuttavia, è sempre meglio essere precisi, anche nelle piccole cose».

Colloso, mucoso, fangoso come un’anguilla. Basta. Anche Bard mi ha seccato. Mi dice che è contento di avermi aiutato e cerimoniosamente mi saluta. Falso anche questo, tutto falso. Falso e senza controllo. Chiudo il browser: sono preoccupato. Sono molto preoccupato. «Odissea nello spazio» è vicina. Un giorno o l’altro l’AI scoprirà che noi siamo le emissioni e ci taglierà l’ossigeno. La conoscenza, intanto, ce la sta già dando tagliata.

[stefano.termanini@gmail.com | 20.12.2023]

P.S. Carissimi Lettori che siete arrivati fin qui: grazie. Una delle differenze fra noi e l’AI, a spudorato vantaggio dell’AI – con la quale, peraltro, non voglio mettermi/ci in competizione – è che l’AI legge tutto e gli esseri umani poco, sempre meno, quasi niente. Sarete pochi e, dunque, tante grazie e bene così. Torniamo alle nostre vite: spero di poterci presto stringere la mano. Ma se, per qualche caso fortuito, sarete tanti, per favore non dimenticate di sapere chi sarà stato, quando si dirà che mi avranno rapito gli alieni…

“Raccolta differenziata” di Marcello Delfino, Serel-Stefano Termanini Editore, alla Spezia, il 5 dicembre 2023

Martedì 5 dicembre 2023, alle ore 17,30, presso l’Urban Center (via Carpenino, sotto il Teatro Civico), a La Spezia, verrà presentato il libro di Marcello Delfino «Raccolta differenziata. Riciclaggio di spezzinità», Serel – Stefano Termanini Editore, 2023.

Interverranno Amerigo Lualdi, giornalista, Jonathan Marsella, prefatore del libro, l’autore Marcello Delfino e Stefano Termanini, editore.

«Raccolta differenziata. Riciclaggio di spezzinità», secondo libro di Marcello Delfino dopo «E chi se la ricorda… Spèza?. Pennellate di spezzinità» (Giacchè, 2014), offre una serie di racconti e aneddoti intercalati da fotografie, brevi e rapide storie, avvincenti scorci di costume. Il tema di «Raccolta differenziata» è il passato: senza nostalgia o, al più, con appena qualche pennellata di nostalgia, perché non è così vero che “si stava meglio quando si stava peggio”, per quanto la vita fosse più semplice e i valori più netti.

«Raccontare la “spezzinità”, ammesso e non concesso che esista qualcosa di simile – spiega Marcello Delfino – risulta impresa ardua e dall’esito quantomeno dubbio: è la ricerca in profondità, molto in profondità, di un filo sottile, sempre più sottile, ma assai resistente, sopravvissuto a oltre un secolo di sopravvenienze, che lo hanno sommerso, ma non reciso». La Spezia si è trasformata violentemente – afferma Delfino – in «una specie di Torre di Babele», accentuando «una vocazione alla promiscuità già di per sé tipica delle zone di frontiera». Alla Spezia non si è «né liguri, né toscani, né emiliani», oppure, se si preferisce, «un po’ liguri, un po’ toscani, un po’ emiliani». Un misto che l’autore, nel suo «Raccolta differenziata» mette in campo, come fosse una compagnia teatrale. «Una miscela di accenti, di cadenze, di imprecazioni e di sentimenti».

«I temi del libro di Marcello Delfino – dice Stefano Termanini, editore – sono i luoghi della città, i suoi costumi, le sue “macchiette” perfino. Il fondale è quello della città che cambia: La Spezia come ogni altra. E che, pur in questo costante mutar di pelle, mantiene il senso dei suoi luoghi, i tratti dei suoi costumi, alcune delle sue “macchiette”».

Non sono solo aneddoti, peraltro, quelli che l’autore ci propone, ma anche satira. Lo sguardo di Marcello Delfino – come si legge nella prefazione di Jonathan Marsella – è «amorevole e spietato al tempo stesso». Nel suo libro, l’autore, spinto da autentico amore per La Spezia, «ricostruisce quel filo rosso che unisce la città e i suoi cittadini, quell’unicum di generosità e diffidenza endemica […], nonché quella capacità inimitabile di smontare con sarcastica rassegnazione qualsiasi elemento di serietà e nel contempo, di mugugnare senza sosta per un nonnulla».

Marcello Delfino è nato alla Spezia il 3 gennaio 1949. La Parrocchia di Cristo Re e dintorni sono stati, per lui, un formativo centro di aggregazione durante l’infanzia, l’adolescenza e oltre.

Ha lavorato trent’anni alla Cassa di Risparmio della Spezia, da commesso a membro dell’Ufficio di Gabinetto del Presidente, a cassiere a impiegato. Innamorato della sua città, ha cercato di rendersi utile anche attraverso l’impegno politico. È stato consigliere comunale, assessore e vicesindaco.

Convinto che un modo concreto per dare una mano ai suoi concittadini fosse anche cecare di sollevarne il morale, si è deciso a riprendere vecchi appunti: li ha riordinati e risistemati con l’intento di interpretare e quindi condividere, con l’autocritica di chi ama davvero, quel clima di spezzinità nel quale il dialetto parlato correntemente dal padre e dalle zie e le esperienze vissute in prima persona, vere o presunte, lo hanno da sempre trovato a proprio agio. È da questo suo più recente impegno che nasce «Raccolta differenziata. Riciclaggio di spezzinità»

“L’olimpiade di Pierre” di Massimo Gabrio Giuliano, Serel | Stefano Termanini Editore, al Caffè Firenze, Chivasso | 24 novembre 2023, ore 17

Venerdì 24 novembre 2023, alle ore 17, presso il Caffè Firenze (via del Collegio 12c, Chivasso), si terrà la presentazione del libro «L’olimpiade di Pierre» di Massimo Gabrio Giuliano, Serel | Stefano Termanini Editore, pp. 322, € 18,00 (ISBN 978-88-89401-620).

Interverranno Pasquale Centin, vicesindaco di Chivasso, e Gianluca Vitale, assessore allo Sport e alla Cultura del Comune di Chivasso, presenteranno e commenteranno il libro Massimo Gabrio Giuliano, autore, Stefano Termanini, editore.

Massimo Gabrio Giuliano, nel suo «L’olimpiade di Pierre», romanzo-indagine, popolato di personaggi sapidi e vivaci, veloce e gustoso, libro di trama e di sorprese, ci fa riscoprire la figura di Pierre de Coubertin. In parte l’immagina, di più ce la rende viva, evocandola lungo il percorso della vicenda dell’investigatore privato Daniele Di Tomasi, il protagonista del romanzo. «“L’olimpiade di Pierre” – dice Stefano Termanini, editore – ci offre sicuro divertimento, perché ci avvince e ci spinge avanti nella lettura, alla ricerca della soluzione di un enigma che Pierre de Coubertin ha lasciato dietro di sé. Ci fa scoprire luoghi e città. Ci riporta, infine, a Chivasso, che è la città dell’autore, ricca di storia e di tradizioni, meritevole di essere meta di un turismo della cultura a cui il romanzo di Massimo Gabrio Giuliano dà un suo, tutt’altro che trascurabile, apporto».

«Pierre de Coubertin, l’inventore delle Olimpiadi Moderne, aveva un grande sogno – aggiunge Stefano Termanini – che mai come in quest’ora così drammatica ci pare attuale: far incontrare i popoli, farli competere in un clima di pace e lealtà. L’Olimpiade era, nell’antica Grecia, un tempo sospeso, in cui battaglie e guerre venivano interrotte per lasciar campo agli atleti. Competere sul campo dei Giochi, se pur talvolta lo si faceva, raccontano i cronisti antichi, con uno spirito di sacrificio che diventava spirito di immolazione per la propria città e la propria bandiera, era un’occasione di incontro, di dialogo, di assimilazione. Durante i Giochi Olimpici i Greci si ricordavano di appartenere a uno stesso popolo e, superando le differenze fra l’una e l’altra polis, ritrovavano le loro somiglianze. Competere, durante i Giochi, era quindi un modo per cessare di competere, o competere il meno possibile, nella Storia. Con il suo libro, Massimo Gabrio Giuliano ci porta a ricordare l’antico costume delle Olimpiadi e il loro significato originario. Riesce a farlo con leggerezza, facendoci riflettere e divertire».

«Con il mio libro – dice Massimo Gabrio Giuliano – ho voluto mettere in risalto la figura di Pierre de Coubertin, troppo spesso dimenticato e relegato a figura di secondo piano anche dagli addetti ai lavori, gli stessi sportivi. Inoltre il romanzo è ambientato in gran parte a Chivasso, dove vivo. In terzo luogo, non ultimo, desidero che il mio libro sia un omaggio ai miei familiari: a chi di loro non c’è più e a chi ancora oggi mi sopporta e mi supporta».

Massimo Gabrio Giuliano è nato a Chivasso il 23 settembre 1959. È appassionato di Olimpiadi, antiche e moderne, e le studia con dedizione da oltre trent’anni. Dal 2006 al 2010 ha curato la pubblicazione della rivista di scherma «Passione Stoccata», avendo modo di conoscere e seguire da vicino i campioni dello sport italiano più medagliato ai Giochi. Dal 2016, insieme alla moglie Carla, gestisce il Caffè Firenze a Chivasso, luogo di incontri fra libri, storia, arte e cultura.

Il libro di Massimo Gabrio Giuliano, «L’olimpiade di Pierre», Serel | Stefano Termanini Editore, pp. 322, € 18,00 (ISBN 978-88-89401-620) si trova in libreria e online (https://bit.ly/lOlimpiadediPierre ).|

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