#unlibroindonoperundonocontroilcoronavirus

[Comunicato Stampa]

Leggere (o ascoltare) e donare: gli autori Maria Cicconetti e Dino Frambati scendono in campo a sostegno di due raccolte fondi contro il coronavirus, a vantaggio degli Ospedali Civico di Chivasso e Galliera di Genova

[21 marzo 2020] – Un libro in dono per un dono contro il coronavirus (#unlibroindonoperundonocontroilcoronavirus): è questo il nome di un’iniziativa culturale a sostegno di raccolte fondi di provata serietà, per dare un contributo agli sforzi di contenimento e cura dell’epidemia da coronavirus in atto presso gli Ospedali di Chivasso e Genova. L’ha lanciata ieri su facebook e sulle pagine del proprio sito la casa editrice genovese Stefano Termanini Editore (www.stefanotermaninieditore.it). Due i fronti: l’Ospedale Civico di Chivasso, centro di emergenza per la lotta contro il coronavirus, per il quale si raccolgono fondi in collaborazione con Lilt Torino, la sua presidente Donatella Tubino, il Consiglio Direttivo Provinciale Torino, le Delegazioni e tutti i volontari, e l’Ospedale Galliera di Genova.

Per Chivasso il libro “donato” è il romanzo-autobiografia di Maria Cicconetti La foto che non c’è (Serel International/Stefano Termanini Editore), ora in versione podcast/audiolibro. Libro – come si spiega nella pagina dedicata all’iniziativa, ieri lanciata con successo su facebook – «intenso, forte, ricco di speranza», offerto ai lettori della casa editrice e a tutti per tenere loro compagnia durante questi giorni incerti, difficili e dolorosi, a causa dell’emergenza coronavirus.

Per Genova e il suo Ospedale Galliera il libro offerto in dono ai lettori è Il virus e il direttore di Dino Frambati, diario «dal fronte del coronavirus», che Dino Frambati ha voluto scrivere appositamente per l’iniziativa Un libro in dono per un dono contro il coronavirus, prestando anche la sua voce per l’edizione in podcast/audiolibro. La pubblicazione, “donata” al lettore in cambio di un suo libero dono, va a vantaggio di una raccolta fondi già attiva su GoFundMe.

Mentre il coronavirus ci impone di rimanere a casa – si dice nelle pagine che la casa editrice dedica all’iniziativa – un libro può esserci di conforto. Ascoltarlo è un altro modo di leggerlo. Può – così si vorrebbe – essere rilassante in tempi molto tesi, ovvero meno impegnativo, eppure mai banale, in settimane e giorni che, come questi, sono affollati di preoccupazioni e pensieri.

Nel suo La foto che non c’è, Maria Cicconetti, chivassese, antropopranoterapeuta, ha raccontato una storia segnata di tappe amare, ma una storia alla resa dei conti positiva, in cui trionfano, nonostante molti e ardui ostacoli, la voglia di vivere e la capacità di perdonare. Alla fine della storia narrata nel libro Maria Cicconetti, protagonista e autrice, giunge a scoprirsi dotata del “prana”, la forza di curare con le mani, tema questo a cui ha dedicato Mani che curano, un nuovo libro, di prossima e imminente pubblicazione, scritto in collaborazione con il medico-scrittore Gino A. Torchio.

Dino Frambati, genovese, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e per diciassette anni vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti ligure, opinionista, editorialista, conduttore di trasmissioni, recente autore di un libro dedicato alle buone notizie, Quando la notizia è buona (Stefano Termanini Editore), scrive il suo “diario”, Il virus e il direttore, con lo stile vivace del cronista. Il lettore è posto dinanzi al dramma della pandemia, quale fatto epocale e sconvolgente. Non mancano rilievi quotidiani e particolari, poiché – come Dino Frambati ci dice – il coronavirus ugualmente dirompe: nel grande delle relazioni fra i Paesi e le Borse e nel piccolo dei nostri affetti e della nostra vita quotidiana. Il coronavirus, che ci fa paura, ci mette in crisi: ci obbliga a una revisione di noi stessi, ci chiede di “ripensarci”.

L’iniziativa #unlibroindonoperundonocontroilcoronavirus ha raccolto un immediato apprezzamento anche sulle pagine di facebook, ove è stata lanciata. «Quella dell’Editore Stefano Termanini di Genova per gli ospedali in crisi (compreso il nostro di Chivasso) è un’iniziativa meravigliosa» scrive Gino A. Torchio, medico-chirurgo pneumologo, già attivo presso gli Ospedali San Luigi Gonzaga di Orbassano e Civico di Chivasso. «Aiutiamolo insieme alla Dottoressa Tubino», invita il dottor Torchio. «Lavoro da anni all’Ospedale di Chivasso», scrive Nicola Vinassa, medico ortopedico, che dà la propria testimonianza in presa diretta, «qui ora siamo tutti ora impegnati ad assistere con umanità e competenza i malati che arrivano sempre più numerosi. Tutto il personale sta mettendo ogni forza per superare la crisi e darci una nuova speranza. Purtroppo, non ci bastano più gli strumenti che abbiamo, nonostante gli sforzi delle istituzioni». E quindi, chiude, ribadendo l’invito a donare: «Diamo allora ognuno un contributo: bastano tante piccole gocce per formare un mare. Grazie»./

LINK per la stampa:

“Dio e Patria. I cattolici genovesi nella Grande Guerra” di Giovanni B. Varnier:

una presentazione scritta, in attesa che ritorni possibile presentare il libro davanti ai nostri lettori così come era previsto per il 9 marzo alla Biblioteca Berio (presentazione ANNULLATA causa presenazione coronavirus)

Il Risorgimento era stato, per larga parte, interpretato da non cattolici. I cattolici o vi si erano opposti o ne erano rimasti estranei. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale il movimento cattolico, che fino ad allora era stato visto come ostile alla unità nazionale, si schierò. Il “divieto” per i cattolici di prendere parte alla vita politica – il non expedit che la Penitenzieria Apostolica aveva sancito nel 1874 – venne di fatto meno nel giugno 1916 con l’ingresso di Filippo Meda, quale ministro delle Finanze, nel governo Boselli, ma i cattolici stavano già dimostrando, al fronte, che era possibile amare la Patria ed essere buoni cattolici e si erano mobilitati, attraverso un reticolo di associazioni, casse rurali, società cooperative e di mutuo soccorso, leghe operaie, a sostegno dei lavoratori chiamati allo sforzo bellico, delle loro famiglie, di un Paese sconvolto e piagato dalla guerra.

Al governo del Paese vi era allora la prima Camera dei Deputati eletta nel 1913 con suffragio universale maschile: vi si rappresentava anche, in percentuale non trascurabile dopo il celebre “patto” che prese il nome da Ottorino Gentiloni, il voto e il volere politico dei cattolici. Sedeva sul soglio pontificio Benedetto XV, il genovese Giacomo della Chiesa, eletto papa il 3 settembre 1914, quando da un mese appena l’Austria-Ungheria aveva dichiarato guerra alla Serbia, la Germania alla Russia e alla Francia e, dopo l’invasione del neutrale Belgio, anche la Gran Bretagna era scesa in campo contro la Germania. La Chiesa genovese stava vivendo da tempo sospesa in un clima di instabilità: come ricorda, nel libro, Giovanni B. Varnier, nel primo quarto del Novecento si succedettero alla guida della Diocesi di Genova ben otto arcivescovi. Tra questi, centrale nel periodo bellico, mons. Lodovico Gavotti, spostato dal papa dalla sede di Casale Monferrato a Genova nel 1915 e scomparso prematuramente, vittima della “spagnola”, l’antivigilia di Natale del 1918.

Nella Seconda parte di Dio e Patria. I cattolici genovesi nella Grande Guerra, Giovanni B. Varnier si occupa di alcuni «momenti» della vicenda dei cattolici genovesi durante la Grande Guerra, prendendo in esame il ruolo delle Società Operaie Cattoliche, le posizioni espresse dalla stampa cattolica genovese e quelle tenute dai giovani cattolici genovesi, i quali «aderirono in modo convinto alla guerra, in tal modo facendo venire meno la pregiudiziale di essere contrari all’unità d’Italia». Detto altrimenti, i cattolici furono buoni, ottimi soldati, egualmente animati da devozione religiosa e fede nella Patria, come si legge, tra le altre, nelle toccanti Lettere dal fronte di Giosuè Borsi, soldato volontario, poi ufficiale, caduto a Zagora durante un attacco, «deciso a fare tutto il mio dovere – come scriveva alla madre –, fino all’ultimo, da forte e buon soldato». Il libro si addentra nel racconto dell’opera dei cappellani militari, delle suore e del movimento cattolico femminile. Mai con paragonabile intensità prima di allora, infatti, la guerra portò le donne fuori dalle mura domestiche e creò le condizioni – pur sempre drammatiche – perché esse si sostituissero agli uomini anche in lavori e compiti che erano stati tradizionalmente maschili.

Tra le «Figure rappresentative», a cui il libro dedica la propria Terza parte, compaiono Lodovico Gavotti, arcivescovo di Genova, di cui si ripubblica una lettera pastorale del 1916; Pietro Zuccarino, tenente durante la guerra, poi vescovo di Bobbio; Angelo Cambiaso, vescovo di Albenga, che fu incriminato per disfattismo a causa di una sua lettera pastorale di cui si ordinò il sequestro; il cappellano militare e cappuccino Vittorio Consigliere; il barnabita padre Giovanni Semeria; Vittorio Casassa, assistente FUCI e cappellano militare; il sacerdote Giacomo Massa; il deputato Filippo Guerrieri; la terziaria francescana Francesca Teresa Rossi, di cui è in corso il processo di beatificazione, e Ifigenia Du Lac Capet, una delle protagoniste del movimento cattolico femminile, responsabile fra l’altro dell’Ufficio per notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare.

Nella Quarta parte del suo libro, la più ampia, Giovanni B. Varnier pubblica alcuni «Documenti». Tra questi, una vivace lettera del soldato alpino Dionisio Boasso al Circolo cattolico di Sestri Ponente, elenchi di sacerdoti diocesani militari e di militari cappuccini della Provincia di Genova, lettere di incitamento e conforto scritte dal parroco don Giuseppe Leveratto al soldato Mario Giovanni Parodi, che molto più tardi sarebbe stato combattente per la libertà nella Resistenza e sindaco di Campomorone (1955-64), un estratto del volume Ascensioni Spirituali, pubblicato nel 1930 a cura della Federazione Diocesana genovese della Gioventù cattolica italiana, con prefazione del card. Carlo Dalmazio Minoretti ed elenchi di caduti e decorati, una sentita celebrazione dei fratelli Camillo e Francesco Marrè, caduti «eroicamente» nel corso del conflitto, dovuta alla penna del sociologo, giurista e uomo politico Antonio Boggiano Pico.

Giovanni B. Varnier ha insegnato nelle Università degli Studi di Urbino, Torino e Genova, dove ha ricoperto anche la carica di preside della Facoltà di Scienze Politiche. È autore di ricerche di carattere giuridico-politico e storico. Si è occupato, in particolare, di storia delle istituzioni ecclesiastiche in età moderna e contemporanea e dei rapporti tra Stato e Chiesa, sia a livello di vertice sia nei risvolti di carattere locale./ [stefanotermaninieditore@gmail.com]

Videopresentazione del libro: https://youtu.be/h7GC6Z7VjWs

Quando si dice il caso

Maria Cicconetti e Gino Angelo Torchio parlano dei loro libri, La foto che non c’è, Vilma Bluder e Il violino dell’Eden, davanti al pubblico della galleria Studio Mitti, Alzaia Naviglio Grande 4, Milano

Maria Cicconetti e Gino Angelo Torchio a Milano, presso la galleria Studio Mitti, Alzaia Naviglio Grande

Metti caso che sia fine gennaio. Il 25? Una giornata che dovrebbe essere fredda, ma che non lo è. Metti caso che ti sia venuta voglia di andare a passeggiare sui Navigli, a Milano. Ci sono tanti locali, gallerie d’arte, piccoli luoghi che conservano un’identità. Tu entri – perché te ne viene la curiosità – in una di questa gallerie d’arte che si aprono su cortili interni di intatta bellezza. Come accade allo Studio Mitti, Alzaia Naviglio Grande 4, Milano, ricco dell’esposizione dei suoi naturali colori – l’acqua del Naviglio e i fiori – e di quelli, acquerellati, delle opere di Maria Teresa Piantanida. Metti caso che, mentre stai sporgendo la testa sotto il volto di mattoni, scopri che qualcuno sta parlando: di un libro, anzi di due. E allora ti incuriosisci ed entri, con tutto il resto del corpo, dietro la tua testa che è già entrata. Di che si parla? Di perdono? Ma che strano… Parte un applauso: «Brava!». Ti siedi? Qualche posto libero c’è. Perché no? Metti caso, dunque, che ti siedi e decidi di capire che cosa stia succedendo.

La copertina del libro La foto che non c’è di Maria Cicconetti. Si può acquistare nella Libreria, sulle pagine di questo stesso sito.

Chi parla è Maria Cicconetti. Racconta del suo La foto che non c’è: ritrovare il padre, dopo una vita lontana, sentire da lui una richiesta di perdono e concederglielo; e poi il sogno, padre Nino, la scoperta della pranoterapia… Dal pubblico dicono: «Un’energia? Ce l’abbiamo tutti questa energia…». «Sì, è vero», risponde Maria, che non si sottrae né al confronto, né alla prova. Un signore, fra il pubblico, soffre di dolori alla schiena: «Magari mi passassero…», sospira. E lei, generosa, avanza verso di lui: «Facciamo una prova?». In quattro e quattr’otto, eccoli a provare: Maria pone una mano sul capo del signore ammalato. «Eh sì, lo sento. Che male che ha!». Sposta l’altra mano, che subito si scalda. Lui è silenzioso e comincia già a guardarla con stupore e, poiché lei si sta prendendo cura di lui, anche se ancora non sa dove lo porterà, con sùbita gratitudine, «sento un gran calore», dice. E poi, dopo venti minuti, nella galleria che è divenuta improvvisato ambulatorio, tra gli increduli che ben guardano e gli altri che sussurrano, frementi di voler in qualche modo aiutare, Maria finisce il suo trattamento. «Sto meglio, sto molto meglio. Non ho più male», conferma il signore prima dolente. È tutto rallegrato, la ringrazia: «Sto meglio!»

Gino Angelo Torchio a Milano, presso la galleria Studio Mitti, per presentare i suoi romanzi Vilma Brudel e Il violino dell’Eden

Prosegue la presentazione. Finisce, anzi, quella de La foto che non c’è e comincia l’altra metà, affidata a Gino Angelo Torchio, che dice al pubblico come sia arrivato a scrivere Vilma Bluder e Il violino dell’Eden. Che cosa l’abbia ispirato, come abbia lavorato, quali finalità si sia proposto. Anche ora il pubblico è attento e lo è, infine e non per caso, quando i due autori, Maria Cicconetti e Gino Angelo Torchio, annunciano che presto uscirà un loro libro, un nuovo libro, a cui stanno lavorando, con l’editore, da più di un anno. «È sulla pranoterapia», spiega Maria, «un libro sulla pranoterapia. C’è la mia esperienza di pranoterapeuta, le situazioni e le persone che ho incontrato, quello che, da ogni parte, ho imparato. Il dr Torchio è stato un grande aiuto per me. Lui è medico, io antropopranoterapeuta. Lui, che verso la pranoterapia era del tutto scettico, mi ha affiancato con occhi liberi da pregiudizi. Come si vedrà nel libro, in questi ultimi due anni, abbiamo cercato di capire meglio, insieme, che cosa la pranoterapia sia e quando possa essere d’aiuto».

Maria Cicconetti e Gino Angelo Torchio, presso la galleria Studio Mitti, con gli organizzatori

Concludono, tra i battimani. Scende la sera milanese, che si riverbera nei molti scorci che Maria Teresa Piantanida ha fermato, con la vibrazione dell’acquerello, sulle sue opere, lì appese. Maria Cicconetti e Gino Angelo Torchio salutano, si avviano verso il treno che li riporterà a Chivasso. Tra le persone, in capannelli che si sciolgono, ancora si parla di pranoterapia. «Io ci credo», dice qualcuno. «Mah, chissà», dice un altro. Il signore col mal di schiena, diritto, «Provatela! Vi posso garantire che funziona!», conferma. Scosta una seggiola e passa, sfilando via. [st: tutti i diritti riservati /stefanotermaninieditore@gmail.com / 26.1.2020]