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In Presenza Invisibile, poemetto nuovo e antico, Rita Parodi Pizzorno ripercorre le tappe di una malattia che la colpì nel fiore degli anni della prima maturità. Da allora è trascorso molto tempo, ma il ricordo è tuttora vivo. Senire dentro di sé una “presenza invisibile”, che è parte di sé ed altro, con cui accordarsi e contro cui combattere, è stata l’esperienza che ha segnato l’autrice. Ne parla – ne scrive – oggi. Il suo percorso, di dolore e di riscatto, dovrà essere esempio di incoraggiamento per tutti coloro che soffrono. E per le donne, in modo particolare.
Descrizione
Per sé stessa e per gli altri, Rita Parodi Pizzorno decide di scrivere Presenza invisibile; per guarirsi e per confortare. Non che questo significhi deporre la preferenza che la poetessa spesso ha manifestato per la solitudine. Anche in Presenza invisibile, infatti, come in altre raccolte, la solitudine è celebrata, è «attesa e desiderata», chiamata «dolce amica mia», compagna della riflessione, alleata della verità. Eppure, qui, la solitudine sboccia e l’esperienza lirica dell’io solitario si apre al messaggio per gli altri, che sono i tutti. Si soffre, è la legge universale del dolore; ma non per se stessi soltanto. Si soffre per tornare indietro a raccontare agli altri – e ricordare loro, quando sarà la loro ora di soffrire – che, pur nelle tenebre del dolore, «lampi improvvisi di aurore boreali / creano nuova linfa vitale» e «sono fiamma, fuoco e poi cenere».
dalla Nota di lettura di Stefano Termanini