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Sono tre le “funicolari” di Genova: la funicolare di Sant’Anna, che un tempo, quando ancora poco si parlava di ecologia, già andava ad acqua; la funicolare del Righi, che, d’un balzo, ci mette davanti l’intera bellezza di Genova e l’occhio del suo porto; la funicolare di Granarolo… che, in realtà, anche se tutti la chiamano così, non è una funicolare, bensì una cremagliera. La “funicolare” di Granarolo ci fa riassaggiare un boccone di mondo che pare estinto; uno scampolo di vita sospesa, quasi aerea (o agreste): si va su, verso Granarolo, e il tempo pare essersi fermato e il mondo cambia faccia…
Scrive Marco Marchisio nel primo capitolo del suo libro Le tre funicolari di Genova, “Vivere a saliscendi”: “I genovesi, strana razza di marinai figli dei monti, hanno da sempre dovuto convivere con le difficoltà imposte loro dalla natura; per le popolazioni costiere le comunicazioni risultavano quasi meno faticose con il lontano oltremare che non con il contiguo Appennino. La vita quotidiana era pesantemente condizionata dalla natura impervia del territorio e se è vero che le difficoltà sia di approvvigionamento che di invio dei propri prodotti verso i mercati hanno da un lato ostacolato pesantemente lo sviluppo economico rurale, è altrettanto vero che esse hanno nello stesso tempo costituito una spinta fortissima verso la ricerca di strumenti atti a superare le mille difficoltà di comunicazione, realizzando anche sistemi di trasporto alquanto inusuali ma certamente più idonei alla conformazione del territorio”.
Descrizione
“Impianti verticali, impianti speciali oppure, per gli esperti, funicolari, cremagliere, ascensori… li possiamo chiamare in tanti modi, ma sono senza dubbio un aspetto distintivo e un motivo di vanto della nostra città.
Sono cresciuti nel tempo, ogni epoca ha aggiunto qualcosa, ma certo i più iconici, e per certi versi futuristici, sono quelli creati nella prima metà del XX secolo. Impianti pensati per una città che cresceva e si trasformava, impianti che prefiguravano nuovi quartieri e nuovi flussi di passeggeri.
Impianti profondamente inseriti nel tessuto sociale dei loro territori al punto da diventare elemento abituale del contesto e, come tale, non più percepiti nella loro eccezionalità.
Forse su questo sbagliamo, non ne cogliamo abbastanza l’unicità e li diamo per scontati. Altre città su infrastrutture di minor valore hanno costruito narrazioni turistiche di grande efficacia.”
dall’Introduzione di Marco Beltrami, presidente AMT
“Molti uomini hanno una passione dominante che segna le loro vite: la fede, l’onore, la giustizia o più prosaicamente il potere, il denaro. Altri hanno trasformato interessi in passione: lo sport, i viaggi, i cani, il giardino o l’orto. Tanti hanno coltivato naturali propensioni mutandole in impegno intellettuale: la lettura, il teatro, la musica, la pittura.
Pochi hanno trasformato l’innata curiosità, di cui ognuno di noi è dotato, in ricerca, per ripercorrere la strada dello sviluppo dell’uomo e della società: conoscere il passato per comprendere il futuro.
Marco, che come medico è da sempre vicino alle persone ed ha imparato a comprenderne le problematiche, fa parte di questi ultimi ed ha scelto un punto di osservazione con grande visibilità sul passato: i mezzi di trasporto che hanno consentito all’uomo di spostarsi da dove è nato, di allargare i propri confini non solo geografici ma anche conoscitivi, di trovare un lavoro, di ricongiungersi con i propri cari. E fra mare, terra e cielo si è innamorato dei treni che hanno modificato profondamente i costumi e le abitudini dell’umanità. Ricchi e poveri, intellettuali ed ignoranti, tutti viaggiano sulle stesse rotaie, ognuno con il proprio bagaglio di speranze e sofferenze”.
dalla Prefazione di Angelo Germano, già presidente del Collegio Sindacale di AMT
Marco Marchisio (Genova, 1946), medico per professione, ma ferroviere in pectore, a causa di una passione per le rotaie che data fin dalla primissima infanzia. Già allora, infatti, dal giardino di casa, poteva osservare il viavai delle motrici della Ferrovia Genova-Casella, il transito dei tramway su e giù per la genovese via Montaldo e financo il periodico treno a vapore che trasportava il carbone da Terralba alla centrale del gas delle Gavette, lungo la sponda sinistra del Bisagno.
All’età di sette anni si trasferisce con la famiglia a Catania, in una casa ubicata fra gli agrumeti, prospicente la linea ferroviaria per Messina, ancora a trazione termica. Colà ha occasione di fare un paio di viaggi a bordo di una grande locomotiva a vapore. È così che il suo amore per la rotaia si rafforza ancora, tanto che durante le periodiche vacanze in quel di Genova non manca mai di fare una visitina agli impianti a fune e a cremagliera, per apprenderne via via ogni dettaglio.
Rientra definitivamente a Genova per frequentare l’università e comincia a raccogliere materiale documentale, a fotografare e filmare mezzi e impianti, finché nel 2004 (l’anno in cui Genova è Capitale Europea della Cultura) decide di provare a raccontare la storia delle funicolari cittadine e del Telfer, la monorotaia realizzata nel 1914.
La breve monografia su quest’ultimo impianto viene pub-blicata nel 2005 sul n° 14 di «Tuttotreno Storia» (DueGi Editrice), mentre la prima stesura di un più ampio lavoro sulle funicolari viene abbandonata in un cassetto. Lì, causa i sempre più onerosi impegni lavorativi, giace dimenticata per diversi anni.
Raggiunta la pensione, riprende in mano il progetto, aggiornandolo ed arricchendolo di numerose note riguardanti la storia del territorio che i tre impianti attraversano. Prende così corpo questo libro, scritto come il racconto di un appassionato ad altri appassionati. Al centro resta la storia dei tre impianti, ma vi è, anche, spazio per raccontare quale funzione abbiano e abbiano avuto in una città “a bassa velocità”, tanto diversa da quella in cui viviamo e forse un po’ più a misura d’uomo.