Due genovesi a Londra, nel 1846: quella volta in cui Giuseppe Mazzini chiese a Camillo Sivori di suonare per lui. E per l’Italia, allora “Giovine”

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Camillo Sivori a Londra nel 1846

Dal 1837 fino al 1868 e cioè oltre trent’anni. Tanti ne trascorse Giuseppe Mazzini a Londra, da esule. A Londra faceva l’insegnante, frequentava gli italiani che sognavano un’Italia unita e che si provavano a crearne le condizioni, dall’esterno, organizzava movimenti, scriveva. Aveva fondato la Giovine Italia; fondò anche la Giovine Europa. Come voleva accadesse agli italiani, Mazzini avrebbe voluto far accadere anche altrove: che, cioè, i popoli assumessero una migliore coscienza civile, che si autodeterminassero o che “si liberassero”, che abbracciassero principi più democratici. Fra questi, c’erano i diritti delle donne. Mazzini li sostenne e li difese sempre.

Con il linguaggio di oggi, diremmo che la Giovine Italia (e così la Giovine Europa) era una no-profit. O una ong. E, per sostenere la missione della sua ong, Mazzini era sempre bisognoso e in cerca di finanziamenti.

Camillo Sivori, al tempo del soggiorno londinese

La storia che raccontiamo qui risale al 1846.

Per protagonisti, la storia che qui raccontiamo, ha due genovesi: Giuseppe Mazzini, che a Londra è ormai di casa, e Camillo Sivori (1815-1894), che vi è giunto da qualche anno. Il fondale della storia è quella Londra fumosa, della rivoluzione industriale, in cui – dicono i testimoni del tempo – se ti dimenticavi le finestre aperte, la notte, e il vento ti soffiava contro, ti svegliavi il mattino con il lenzuolo grigio per la fuliggine e la polvere di carbone. Camillo Sivori ha da poco compiuto trent’anni, è uno dei più grandi virtuosi di violino del mondo e dal 1843 è in Inghilterra, con il fratello Giovanni Battista, che gli fa da accompagnatore e da manager. Alle spalle di Sivori – metaforicamente – c’è Paganini: la grande fama, la grande luce (e la grande ombra), di Paganini. Sivori è “il solo che possa dirsi” suo allievo. E’ stato Paganini stesso a dichiararlo e, in tutta Europa ormai, dall’Austria all’Ungheria, alla Germania, alla Polonia, alla Russia, paesi che Sivori percorre tra il 1841 e il 1843, alla Francia, al Belgio, all’Inghilterra, chi voglia riascoltare la sorprendente magia delle note di Paganini non può fare che una cosa: ascoltare Sivori, che di Paganini – si dice – “conserva il segreto”.

Ma quale segreto? Non c’era un segreto. Paganini stesso lo aveva detto: nessun segreto! Quella del “segreto” o del “miracolo” o, peggio, del “patto con il diavolo” è soltanto una trovata da feuilleton, una diceria, una sciocchezza. L’abilità mirabolante, la qualità del suono, la permeazione, la trasfusione, per la quale il musicista e il suo strumento diventavano una cosa sola si ottenevano con “perseveranza e applicazione”. L’abilità, il talento, non erano richiesti. Era stato Paganini a proclamarlo, in quelle giornate faticose e intense in cui aveva fatto scuola al giovanissimo Camillo Sivori, tra l’ottobre 1822 e il maggio 1823. Ecco il segreto: “perseveranza e applicazione” (1). Altrove e altrimenti si sarebbe detto: studio matto e disperatissimo.

Quando Sivori incontra Mazzini, a Londra, Paganini è morto da qualche anno e Sivori è andato a trovarlo poco prima della fine, a Nizza, nella casa Spitalieri de Cessole, dove Paganini è ospite. Questo ultimo incontro fra maestro e allievo merita di essere evocato. È il 25 marzo 1840 e a Nizza, nonostante la primavera sia cominciata da qualche giorno, fa un gran freddo. Paganini riceve Sivori, desidera rivederlo. Parlano di violini, di musica, della grande tournée europea che Sivori sta preparando. A seguito di quell’estremo incontro, Sivori porterà con sé uno dei violini di Paganini, il Vuillaume (1834), la “copia” del Guarneri del Gesù del 1742, detto “il Cannone”. Sia il “Cannone” sia il “Vuillaume” appartenuto prima a Paganini e poi a Sivori, oggi proprietà del Comune di Genova (2), sono conservati a Genova, a Palazzo Tursi.

Insomma, circondato e accompagnato dalla fama del maestro e propria, “unico e solo allievo del Napoleone del violino” (3), infaticabile viaggiatore, compositore per conto proprio (nel 1839 ha composto il suo Primo Concerto per violino e orchestra), quando soggiorna a Londra, nel 1846, Camillo Sivori è nel pieno del suo fulgore artistico. La lezione di Paganini, Sivori l’ha ormai fatta maturare dentro di sé e, se pure offre spesso al suo pubblico le partiture più impervie, sperticandosi in virtuosismi funambolici, mirabolanti, come Paganini soltanto era stato capace di produrre, suona anche musica cameristica, interpretativa, musica “difficile”. Da virtuoso sic et simpliciter è diventato interprete raffinato: esegue i Quartetti di Beethoven, suona il Quintetto in sol minore di Mozart, compone altra musica propria (il suo Secondo Concerto è probabilmente del 1841), frequenta Mendelssohn, Spohr, Vieuxtemps, Piatti, Dragonetti, Joachim, Thalberg e altri. Diventa così famoso che, nonostante abbia soltanto trent’anni, un giornalista e scrittore inglese, E. James, gli dedica una biografia, «Camillo Sivori. A Sketch of his Life, Talent, Travels and Successes» (1845), che, fin dalle prime righe, ne decanta l’assoluta eccellenza (4).

Ma torniamo alla nostra storia: Mazzini e Sivori. Prima di rincontrarsi a Londra, Mazzini e Sivori si conoscevano già. Nella misura della piccola Genova della prima metà dell’Ottocento (fino al 1849 Genova non superò mai i 100mila abitanti), era quasi impossibile che ogni uomo notevole della città non avesse mai avuto modo e occasione di conoscere tutti gli altri uomini notevoli della sua generazione, in città. E, se non loro proprio, almeno le loro famiglie. Mazzini chiede a Sivori un concerto a favore della sua “ong”; cioè della sua Giovine Italia. Bene lo spiega Flavio Menardi Noguera nella sua monografia: Mazzini aveva già provato, negli anni precedenti il 1846, a coinvolgere Camillo Sivori. La musica – scriveva – «è la più grande rendita che abbiamo». Gli occorreva, dunque, organizzare concerti, che fossero popolati di artisti famosi e ben pubblicizzati: doveva raccogliere fondi. Sivori, che in quegli anni suscitava l’entusiasmo di tutti i pubblici europei, era il migliore artista cui Mazzini potesse aspirare. Dare un concerto di Sivori significava incasso sicuro, finanziamento certo per la Scuola Italiana e per le attività che Mazzini, esule in Inghilterra con il cuore e la mente in Italia, desiderava portare avanti. E, mentre i giornali inglesi, a proposito di Sivori, si chiedevano se, oltre al suo violino, Paganini gli avesse affidato anche la sua anima (5) e definivano i suoi concerti «gloriosi» (6), Mazzini scriveva alla madre, a Genova: «Sivori suona divinamente per ciò che riguarda le difficoltà specialmente» (lettera del 24.5.1844). Con il tempo, aveva avuto modo di avvicinarlo, di renderglisi più prossimo, forse quasi amico. Aveva cominciato ad apprezzarne le qualità, non quelle musicali soltanto, ma anche quelle umane. Tutti i testimoni, concordi, riconoscono che Sivori ne avesse, di grandi e alte. Era sempre generoso: con la sua arte così come con le persone. Non si risparmiava mai, pareva instancabile: James, il suo biografo, contava oltre 900 concerti pubblici fra il 1840 e il 1845, senza mettere nel conto le esecuzioni private, quelle a corte (due volte nel 1843, davanti alla regina Vittoria) e cameristiche.

Non tutti gli artisti italiani frequentavano volentieri Mazzini e il suo ambiente, a Londra. Temevano di compromettersi e forse anche Sivori, per qualche tempo, preferì essere prudente. Più di lui lo era Giovanni Battista, il fratello. Ne conosciamo da alcune lettere indirizzate alla famiglia l’entusiasmo per il mondo in corsa verso il progresso, per i traffici, gli affari, le navi in continuo viaggiare. Giovanni Battista era un uomo dell’Ottocento e, a suo modo, per il legame che sempre dimostrò verso la propria città e l’Italia, un patriota. A Mazzini, tuttavia, apparve di «natura paurosa e fredda» e quella sera in cui Camillo Sivori fu trascinato da Mazzini alla ribalta, Giovanni Battista se ne rimase «lontano». Cioè defilato, prudente, attento. Andò così la sera del 26 giugno 1846: lo sappiamo da una lettera di Mazzini stesso, indirizzata alla madre. Sivori era presente in qualità di spettatore, ma, prima che il concerto finisse, Mazzini andò da lui per domandargli, «nel calore della cosa», di concludere il concerto con un suo assolo.

Avevano suonato Emiliani e Piatti e Sivori, quando Mazzini gliene chiede, è per un momento incerto. Vorrebbe, non sa; suonare alla fine, a sorpresa, dopo che altri violinisti italiani lo hanno fatto, non gli piace; è – sono le parole di Mazzini – «incerto, ma desideroso». Mazzini pensa allora a un trucco. Approfitta di un momento in cui Sivori vacilla e si mostra disposto a cedere e comanda «al vecchio Pistrucci» di andare ad annunziarlo. Sivori non può più tirarsi indietro. Suona, suona «divinamente» e raccoglie «applausi da non dirsi». Mazzini lascia sull’album di ricordi di Sivori una dedica, in memoria di quella sera. Così gli scrive, con la sua grafia sottile e ordinata: «Sia l’anima tua il tempio del Dio a cui la tua mano ministra; sia l’Uomo uguale all’Artista e l’Italia ti porrà fra quei pochi il cui nome essa caccia ai nemici, come diffida nel presente e promessa dell’avvenire».

Il giorno dopo, era il 27 giugno 1846, alla Società Filarmonica di Londra, Felix Mendelssohn Bartholdy affidava a Sivori la parte solista nella prima esecuzione inglese del suo Concerto in mi minore, op. 64. Anche Mendelssohn, che Sivori conosceva almeno dal 1841, prese la penna per lasciare un ricordo di quella esecuzione sulle pagine dell’album di Camillo Sivori. Gli scrisse: «à mr Camillo Sivori avec bien des remerciments». E si firmò, al di sotto di un breve pentagramma, con le prime battute del suo concerto. [stefano.termanini@gmail.com | 10 marzo 2022]

NOTE:

(1) Citato in Flavio Menardi Noguera, Camillo Sivori. La vita, i concerti, le musiche, Graphos, Genova 1991 (da Geraldine De Courcy, Paganini the genoese, University of Oklaoma Press, Normann 1957)

(2) Il violino di Camillo Sivori è stato donato al Comune di Genova per lascito degli Eredi, non già dello stesso Camillo Sivori (benché interpretandone probabilmente la volontà ultima). La donazione avvenne non con spirito emulativo, come forse è stato inteso, ma con l’intento di riconoscere a Genova – che pure non sempre aveva dato merito al talento dei due musicisti, i quali, sia Paganini sia Sivori, riscossero all’estero le maggiori soddisfazioni e i maggiori successi – il valore intimo e profondo di un’origine più forte, più radicata delle convenzioni e delle vicende umane. C’è, nel sentimento di questo dono, un volersi dire e riconoscere, insomma, al di là e oltre ogni sciagurata o contraddittoria vicenda, “genovesi”.

(3) La definizione si deve a un giornale del tempo.

(4) E. James: «In literature, arts and Sciences (one might even say in any line), whenever an extraordinary man makes his appearance, who not only excels, but leaves immensurably behind him those who are pursuing the same career…». In E. James, Camillo Sivori. A Sketch of his Life, Talent, Travels and Successes, Londra 1845, p. 1.

(5) «He performs… on the violin bequeathed to him by Paganini: but did the latter assign over his soul at the same time to his favoured pupil…?», The Morning Post, Londra 17 giugno 1843, p. 5. In Luigi Inzaghi, Camillo Sivori, Zecchini, Milano 2004, p. 205 (tratto da E. James, cit., pp. 52-54).

(6) The Morning Post, Londra 20 giugno 1843. In Luigi Inzaghi, Camillo Sivori, Zecchini, Milano 2004, p. 206.