Ne abbiamo parlato il 19 marzo 2019, presso l’Alliance Française di Genova: Aimé Sterque riassume, nella sua vicenda personale, pur con tratti di personale originalità, una vicenda abbastanza “tipica” per il suo tempo, che lo portò dalla Francia al Senegal, quindi in Oriente, l’altro polo coloniale francese, nella regione vietnamita del Tonchino, dove, colpito da una malattia tropicale, morì. Nato in un piccolo villaggio del Giura, Aimé Sterque si arruolò molto giovane nell’esercito coloniale francese e fu inviato, prima come soldato semplice, quindi con il raggiunto grado di ufficiale, in Africa Occidentale. Erano gli anni in cui la Francia, dal Senegal, stava espandendosi verso l’interno, con il progetto di conquistare una fascia longitudinale del continente. Gli anni della crisi di Fascioda (1898), quando, l’esercito francese e l’esercito inglese si trovarono contrapposti e, per qualche giorno, il mondo tenne il fiato sospeso, temendo di essere sulla soglia di una guerra.
Di questo, però, nelle fotografie che Aimé Sterque inviava alla famiglia, includendole nelle proprie lettere, quasi niente trapela. Se si eccettua qualche festa e qualche edificio, tali da conservare l’impronta di una presenza coloniale che si sovrapponeva (e forse anche imponeva) sulla popolazione locale, il clima che le fotografie di Aimé Sterque ci restituiscono è quasi trasograto. Vi sono scene di vita quotidiana, mercati, donne al fiume; villaggi, capanne, animali, strade, vie, ponti. Una mescolanza di soggetti che non appartiene a un progetto di rappresentazione, se si esclude quello, tutto morale e affettivo, di “far vedere” alle persone amate, a casa, ciò che i loro occhi non avrebbero mai potuto vedere.
Dal punto di vista della narrazione, Aimé è efficace. Mentre dal punto di vista dell’applicazione di tecniche fotografiche innovative, Aimé pare addirittura – come bene fanno notare nei propri saggi Elisabetta Papone e Martina Massarente – uno sperimentatore; un felice, abile, aggiornato raccoglitore di nuove possibilità.
La conservazione e, oggi, la valorizzazione, di questo piccolo, ma intenso, storicamente prezioso patrimonio fotografico si deve al rigore di studiose di Hélène Giaufret Colombani e Anna Giaufret. Ma va aggiunto anche che Hélène Giuafret Colombani e Anna Giaufret, in quanto discendenti di Aimé, mostrano, al pari del loro avo, una simile fedeltà agli affetti: è, il loro, oltreché un recupero che si pone al servizio della memoria e della ricostruzione storica collettiva, un bellissimo atto di fedeltà e di affetto “filiale”.